sabato 27 ottobre 2012

Terre senza promesse ed intervista ad Andrea Camilleri




Terre senza promesse è il titolo del libro a cura del centro Astaldi  edito da Avagliano editore, che contiene 10 racconti scritti da rifugiati. presentato alle classi partecipanti al progetto "La scrittura non va in esilio"

"Somalia, Eritrea, Etiopia: da questi Paesi proviene la maggior parte delle persone che oggi salpano dalla Libia per cercare asilo in Italia. Sono spesso volti senza nome che si susseguono nei servizi dei telegiornali, capaci di suscitare pietà ma soprattutto paura.
Il Centro Astalli ha voluto dar voce a questi uomini e queste donne, persone normali costrette loro malgrado a vivere esperienze straordinarie, a lasciare la loro casa, il loro Paese, la loro famiglia per ricominciare da zero in una terra straniera. Dieci di loro hanno avuto la forza e il coraggio di confidare la propria storia, i viaggi disperati, le minacce e le torture subite. Hanno raccontato com’era la loro vita prima della fuga e cosa hanno trovato qui in Italia.
Ciascuna testimonianza è accompagnata dall'introduzione di uno scrittore italiano (Lerner, Camilleri, Bianchi, De Luca, Arslan, Bellu, Albanese, Lakhous, Mazzucco, Celestini) in una sorta di dialogo a distanza che diventa simbolo di scambio e arricchimento reciproco".







INTRODUZIONE 
Degli uomini e donne che sbarcano in condizioni disperate sulle coste del nostro Paese non sappiamo granché. Talora ci viene detto che sono molti, troppi. I telegiornali ce ne restituiscono immagini che sono diventate banali, ripetitive, già viste. Ma chi lavora al Centro Astalli ha il privilegio di incontrare molti di loro e, a volte, di chiedere loro di raccontare qualcosa di sé. Parlare con un rifugiato apre una prospettiva profondamente diversa sul mondo, sull’attualità, sul significato profondo di parole usate e abusate come libertà, democrazia, diritto. È un’esperienza che riteniamo importante condividere. Così nasce questo libro. Quelle raccolte in questo libro sono storie più comuni di quanto si immagina. Solo che, di solito, non si ha modo di sentirle. 
Non è facile. Non è facile per loro trovare le parole, non è facile per noi ascoltarle. Questi racconti di vita non hanno ancora un lieto fine. Sono storie in corso, raccontate in presa diretta. Come finiranno dipende anche da noi, i loro nuovi vicini di casa. Dipenderà anche da piccole cose assolutamente alla nostra portata: come li guarderemo sull’autobus, se permetteremo o meno che i nostri figli frequentino i loro, se ci interesserà a meno scambiare con loro qualche parola quando li incroceremo sul pianerottolo. Per questo abbiamo chiesto a dieci esponenti della cultura italiana di conversare a distanza con i rifugiati che hanno voluto condividere la loro esperienza, aggiungendo al racconto un’introduzione, un commento. In molti  casi, anche i controcanti contengono ricordi autobiografici o familiari. Questo non ci ha meravigliato. Leggendo le testimonianze di questi giovani uomini e donne, tutti provenienti dai Paesi del Corno d’Africa, la sensazione di aver qualcosa in comune con loro, pur nella diversità delle esperienze, è molto forte. Non soltanto perché l’Eritrea, l’Etiopia e la Somalia hanno condiviso con l’Italia un pezzo di storia rilevante, che tendiamo a dimenticare o a rimuovere. Ma soprattutto perché i sentimenti che troviamo descritti con parole semplici e sobrie  sono universali, appartengono profondamente a ciascuno di noi. I rifugiati sono persone comuni che si vengono a trovare in circostanze eccezionali. 
Rifugiati si diventa all’improvviso, senza averlo voluto e, a volte, senza avere fatto nulla di straordinario. Per alcuni, ad esempio per i giornalisti, può essere addirittura sufficiente svolgere con coscienza il proprio lavoro. I giovani che ci hanno raccontato la loro storia ne sono la dimostrazione. Nei loro ricordi sono ancora freschi i particolari della vita prima della fuga: i sapori, gli odori, i piccoli gesti banali della quotidianità. Leggiamo dello studente in ansia per gli esami, della ragazza che litiga con i genitori per uscire con il fidanzato, della madre preoccupata per il futuro dei figli. Sono queste stesse persone che poi diventano, loro malgrado, protagoniste di esperienze che riusciamo a stento ad immaginare. Sono persone come loro che perdono la vita, ogni giorno, nel Mediterraneo. I protagonisti di queste storie, in un certo senso, ce l’hanno fatta. Non hanno ancora vinto del tutto, ne sono consapevoli. Nessuno di loro ha ancora ritrovato una stabilità paragonabile a quella che hanno perso con la fuga. Ma non si sono ancora arresi e hanno molto da dirci. 




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